E’ stato considerato“l’uomo che ha inventato il management”, anche se ha sempre rifiutato questo appellativo. Peter Ferdinand Drucker, economista, con le sue opere e con il suo lavoro ha contribuito a gettare le fondamenta filosofiche e pratiche della gestione delle aziende moderne, diventando un leader nello sviluppo della formazione manageriale.
Per questo, il suo pensiero è uno dei capisaldi delle lezioni di Manager Lab. Durante il corso, destinato a Senior Advisor e Trainer che ambiscono a crescere professionalmente e intraprendono il cammino verso il management, si approfondisce, infatti, il pensiero dei grandi teorici dell’economia, come paradigma di riferimento per i professionisti.
Iniziamo un breve viaggio tra i grandi autori partendo proprio da Peter F. Drucker.
Nato a Vienna nel 1909, Peter Ferdinand Drucker è uno degli autori di riferimento per la formazione manageriale. La mamma medico, il padre avvocato, è cresciuto in una casa frequentata da intellettuali, scienziati, uomini di governo.
Nel 1937 lasciò l’Europa per gli Stati Uniti, dove si rifugiò per fuggire alle leggi razziali e ne divenne cittadino nel 1943. Nel 2002 è stato insignito dal presidente statunitense George W. Bush della Medaglia presidenziale della libertà.
Nel corso della sua carriera è stato consulente in tutto il mondo per imprese di ogni dimensione, per enti governativi e organizzazioni no profit. Il primo libro, “The end of economic man: the origin of totalitarism”, lo pubblicò negli Stati Uniti a 30 anni, e divenne una delle letture preferite di Wiston Churchill.
Ne scrisse poi altri 37, tradotti in altrettante lingue. All’attivo, anche molte pubblicazioni su The Economist, The Wall Street Journal e Harvard Business Review. La sua opera “The Practice of Management”, pubblicata nel 1954, è il contributo teorico più significativo per l’introduzione del concetto di “management by objectives”, (gestione per obiettivi).
Quanto alla sua carriera accademica, è stato docente di Politica e Filosofia al Bennington College e di Management alla Graduate Business School di New York, impegno, quest’ultimo, durato per oltre 20 anni. Nel 1971 è Clarke Professor of Social Science alla Claremont Graduate School, in California.
Pratica e teoria, per Peter Drucker, non potevano essere cose separate. Nella sua ultima intervista, rilasciata a 92 anni all’Expresso, quattro anni prima di morire, disse: “Il management è una pratica, esattamente come la medicina o il diritto. Il mondo accademico non può contribuire nel dire qualcosa di interessante sul management senza averne pratica”.
Come si capisce, l’eredità di Drucker è davvero ampia. Quando Peter Drucker inizia a riflettere e scrivere di gestione delle aziende, siamo a metà del secolo. Il mondo sta cambiando radicalmente, i grandi tycoon dei primi del ‘900 non ci sono più. Anche le grandi aziende famigliari, per continuare a crescere, hanno dovuto cambiare il modo di intendere il management. Secondo Peter Drucker, i manager sono la risorsa base di un’azienda. “In un’azienda totalmente automatizzata possono esserci solo pochi tecnici, ma i manager non possono mancare”, scrive. Ai manager sono richieste competenze sempre più elevate: devono conoscere i metodi qualitativi e quantitativi, il comportamento umano. Il loro compito non è solo gestire al meglio le risorse umane, ma anche la relazione con i proprietari delle imprese. Essere manager significa condividere le responsabilità per la performance di un’impresa. Chiunque senta questa responsabilità è un manager.
Il suo pensiero attraversa tutto il XX secolo, arriva fino ai giorni nostri, quando la gestione delle imprese è inevitabilmente trasformata dalle nuove tecnologie, dalla globalizzazione, dall’alfabetizzazione. Drucker interpreta la realtà e la decodifica, e questo rende difficile sintetizzare in poche righe il suo pensiero.
Qui vogliamo brevemente soffermarci due dei concetti più innovativi da lui esplorati: il management by objectives e i knowledge worker.
Il management by objectives, gestione per obiettivi, è un processo di definizione degli obiettivi all’interno di un’organizzazione per ottenere la migliore performance.
Il punto di partenza è che l’azienda non deve raggiungere il massimo profitto, ma quanto basta a coprire i costi e i rischi dell’attività economica, evitando le perdite. Per questo, deve fissare una pluralità di obiettivi, che possono anche variare nel tempo, e che devono essere specificati in base ai vincoli (costi, risorse umane) e alle scadenze temporali.
Chi dirige un’azienda deve quindi trovare un equilibrio tra vincoli e obiettivi, individuando le priorità.
Per Drucker bisogna stabilire gli obiettivi in tutti quei campi di azione in cui le attività e i risultati incidono sulla sopravvivenza e la prosperità dell’azienda.
Il management by objectives prevede che il sistema decisionale sia ampiamente partecipativo. Idealmente, quanto più i lavoratori sono coinvolti nella gestione dell’azienda, tanto più sentiranno la propria responsabilità e si impegneranno per raggiungere gli obiettivi fissati.
Molto importante, dunque, la dimensione partecipativa. In questo senso, sono operativamente fondamentali i momenti di incontro tra i diversi dirigenti dei vari livelli di un’impresa, ma anche la valutazione del raggiungimento degli obiettivi che, a questo punto, diventano il vero metro di misura della capacità di una persona. Dal punto di vista formativo, poiché tutti sono coinvolti nell’individuazione e nel raggiungimento degli obiettivi, questa modalità di gestione permette anche di formare sul campo anche i futuri dirigenti.
Rispetto al passato, il management by objectives è una formula rivoluzionaria rispetto alla burocrazia weberiana o all’organizzazione scientifica tayloristica: si superano le gerarchie, si instaura una democrazia competitiva che stravolge il modo tradizionale di pensare il modo di fare impresa.
Peter Drucker coniò questa espressione, knowledge worker, nel 1959, e, nel corso della sua vita, ha poi sempre considerato questa nuova realtà come la frontiera del management.
Con le politiche di alfabetizzazione e l’accessibilità delle università ai meritevoli, indipendentemente dal loro reddito, i lavoratori si sono trasformati in knwoledge worker, ovvero persone che hanno come capitale principale la conoscenza.
Drucker definisce knowledge worker chi sa del proprio lavoro più di qualunque altro, ha la passione di aggiornarsi e approfondire, diventando un riferimento di conoscenza nell’azienda.
Il knowledg worker è chi ha padronanza di una materia complessa tanto da essere capace di interpretarla in modo autonomo e conferire valore aggiunto al risultato dell’attività in cui viene applicata.
Sono knowledge worker i lavoratori creativi, come ingegneri, architetti, matematici, informatici, urbanisti, scrittori, artisti, attori, atleti, ma anche operatori del settore finanziario o del marketing.
Un conto è avere delle conoscenze, un altro saperle rendere produttive. La conoscenza non può, però, essere produttiva se i lavoratori non sanno chi sono e come possono utilizzare al meglio le proprie capacità. In questo sistema, diventa fondamentale il ruolo dei manager, che non devono limitarsi a gestire il processo produttivo, ma anche individuare le potenzialità dei knowledge worker e capire come portarli a esprimersi al massimo.
Il concetto di knowledge worker e ciò che esso implica per le imprese moderne ha aperto un ampio dibattito. Merito di Drucker è stato di aver colto questo straordinario cambiamento e di aver dato una innovativa chiave di lettura già a metà del secolo, che è però valida ancora oggi.
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